
Fa sorridere con una punta di amarezza la decisione dell’ Amministrazione sulla “panchina dipinta di rosso” e non perché sia inopportuna la sensibilizzazione sul tema della violenza di genere. Non vorremmo tornare su argomenti usati ma non abusati ma ci sentiamo in qualche modo costretti, nel momento in cui gli stessi, che hanno sostenuto un incontro quale “Cultura&Identità”, oggi si fanno paladini della campagna delle “panchine rosse”.
Lodevole iniziativa certo, ma granello di sabbia nell’oceano di una mentalità ancora fortemente sessista.
Viviamo in un Paese in cui i livelli della condizione femminile sono tra i più bassi d’Europa: le donne ricoprono ruoli di responsabilità in percentuale fortemente minoritaria e, a parità di impiego, hanno retribuzioni più basse.
Il rispetto è una pratica quotidiana, che si apprende fin da piccoli: solo crescendo bambini capaci di cogliere nella differenza una ricchezza da rispettare avremo uomini giusti che si sentiranno veramente alla pari con l’altra metà del mondo.
Ancora oggi, in famiglia e più in generale negli istituti sociali, a qualsiasi livello, vengono veicolati messaggi errati e fuorvianti: “Chissà cosa avrà fatto quella per arrivare fino lì?” o peggio ancora. Nel linguaggio di tutti i giorni, le donne sono ancora prima di tutto un corpo e poi una mente: “Ammazza, che bona quella!“…tanto per fare un esempio. Le discriminazioni che subiscono le donne o – diciamo questo con profondo dolore – le violenze verbali e fisiche sono ancora sentite, almeno in parte, come responsabilità delle donne stesse: “Se vai in giro così che ti aspetti!“; “Lui ha sbagliato, ma lei lo ha provocato“, etc.,etc.
Famiglia, istituzioni educative, sociali e politiche, a qualsiasi livello, devono far proprio, come imperativo categorico, l’obbligo morale di una “educazione sentimentale” radicalmente nuova, in cui siano le singole persone, nella loro meravigliosa individualità, le protagoniste. Noi come adulti dell’oggi insegniamo alle donne e agli uomini del domani che il confronto è fatto di dialogo ed anche di scontro, ma mai di sopraffazione.
Devono cadere vecchi stereotipi: ancora oggi – chi scrive parla anche per esperienza personale – passano messaggi sbagliati, per cui una donna “libera” è certamente una donna “poco seria“, una mamma single è “una poco di buono“, un uomo che la rispetta e che la ama sinceramente è un “debole” o peggio ancora “un fesso“.
Insegniamo ai nostri figli il valore del rispetto e della fedeltà, i quali sono fondati sulla fiducia e sulla scelta, non sulla costrizione, sull’orgoglio o sulla paura.
Come cittadini e come amministratori a questo si è chiamati: la politica deve essere confronto sui temi e mai attacco alle persone. Già così avremo fatto tanto…ecco perché ben venga la panchina dipinta di rosso, ma solo se essa rappresenta la punta dell’iceberg di un lavoro capillare di rivoluzione culturale sulle coscienze dei cittadini di oggi e di domani.
Chiara Grossi